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Abroad: rock dal mondo
Pianissimo fortissimo. Le canzoni di una vita, live report dei Perturbazione
Mettetevi comodi e leggete questa bellissima intervista (con report) di Salvatore Sannino ai Perturbazione, qualche minuto dopo il loro magico show al Duel Beat di Napoli, venerdì 12 novembre. Antonio Siringo ha invece catturato con la sua reflex, i migliori momenti della serata (il fotoset completo qui).
La magia che si crea durante un concerto dei Perturbazione è davvero difficile da descrivere, è come un grosso abbraccio che ti avvolge stretto, e ti ritrovi a cantare in coro che “Agosto è il mese più freddo dell’anno” con l’animo intriso di un misto di allegria e tristezza, una sorta di serenità che ti spinge a tenere stampato un sorriso sulle labbra. Il Duel Beat è davvero gremito, d’altronde i torinesi mancavano da Napoli, se si esclude la partecipazione al Neapolis, dal lontano 2003 e la mancanza, inutile dirlo, si sentiva. L’apertura del loro live è affidata a Lelio Morra, cantante dei JFK e la Sua Bella Bionda che, in veste di cantautore, intrattiene per una mezz’oretta piacevolmente con le sue canzoni chitarra e voce.
Poi sul palco salgono Gigi e Tommaso e aprono il concerto con la bellissima “Esemplare”, sussurrata, intima. Entrano gli altri quattro, e attaccano una manciata di brani dal precedente Pianissimo Fortissimo: “Nel mio scrigno”, “Battiti per minuto” e la fresca cover dei Belle and Sebastian “Portami via sto male”.
Il pubblico partecipa, si diverte e Tommaso entra appieno nell’interpretazione dei pezzi. Ci mette la sua mimica, il suo entusiasmo. Parte “Agosto” e sembra quasi di essere allo stadio: un unico coro riempie il Duel, in un momento da incorniciare, di quelli che raramente si vedono nel circuito alternativo. La scaletta prosegue con i brani del nuovo album “Del nostro tempo rubato”, raggiungendo i suoi picchi nella title track (emozionante lettera tra il cantante e il fratello, che fa l’operaio), in “Mondo Tempesta” e nell’insolita “Vomito”. Ma sono i brani vecchi a ricevere più consenso da parte del pubblico: la post adolescenzialità di canzono come “Il senso della vite” e “Se mi scrivi”.
Le canzoni dei Perturbazione sono per tutti, parlano di noi, dei piccoli problemi esistenziali che ci affliggono o ci hanno afflitti, dei sentimenti e lo fanno con un linguaggio universale, a tutti comprensibile. Di concerti come questi ce ne vorrebbero di più, così vivi, cosi coinvolgenti, così veri. Tommaso, come suo solito scende dal palco, si unisce al pubblico, canta “sarebbe bello ridere di noi, di tutto il tempo rubato al nostro tempo a venire”, mentre abbraccia qualcuno a caso. Si sentono veramente a casa i Perturbazione, probabilmente un live al sud gli mancava e hanno voglia di dare di più. Non gli basterà un unico bis a sedare la sete dei loro ammiratori, infatti, mentre gli altri faranno per andarsene, il loro leader li richiamerà sul palco per un’ultimo, profondo, “Arrivederci o addio”.
Il concerto finisce, ma l’entusiasmo è alto e facciamo due chiacchiere con Gigi Giancursi di Italia, tempo rubato, musica e altre sciocchezze:
Il vostro nuovo album è la storia di un trasloco, ma è anche un po’ un viaggio all’interno del nostro paese. Cosa ne pensi dell’Italia di oggi? E in che modo ci rubano il tempo o ce lo stiamo rubando?
Praticamente hai già detto tutto! Pero’ vorrei aggiungere che ogni giorno, ti senti sempre più’ sprofondare, attraversi diverse fasi: c’è quella in cui sei costernato da quello che succede, poi c’è una fase di disgusto, poi c’è una fase addirittura di indifferenza, perché cominci a pensare che le cose tanto non potranno cambiare perché hai già visto prima che tanto non sarebbero cambiate, e poi arrivi veramente a una fase di teatro dell’assurdo. L'Italia è un teatro dell’assurdo, è una bruttissima sensazione. Su questo noi non siamo molto ottimisti, pero’ non vogliamo nemmeno puntare il dito per dire che è colpa di qualcuno, perché la colpa è veramente di tutti, è una colpa condivisa. “Finché quel padre non diventi tu” diciamo nel disco, ecco forse il fatto di diventare padri ci ha spinto a riflettere di più sul sociale. Io oggi ho una figlia, mi chiedo “ma in che mondo di merda si troverà a vivere?”. E’ un po’ come quando pensi “vado all’estero”. Una volta, tanto tempo fa, sono stato a Dublino ai tempi in cui non era così fighetta come alcune città. C’era il porto, che era un posto veramente brutto, e in quel porto ci sono andato da solo, ho fatto i miei incontri, ho fatto le mie cavolate, come credo sia successo a tutti, pero’ ero da solo, rispondevo io della mia pelle. In questa Italia non sei più da solo, perché nel frattempo ti sei costruito degli amici, una famiglia, una ragazza, un ragazzo, un figlio, una figlia, e cominci a pensare che in quel porto di Dublino, se ci potevi essere da solo, era un conto, ma ora non sei più da solo e io non avrei mai portato mia figlia o la mia fidanzata al porto di Dublino. E purtroppo ci troviamo in un porto di Dublino allargato, solo che nel frattempo Dublino è diventata una bellissima città e l’Italia è lo schifo che conosciamo.
Quindi l’Italia è sempre immobile?
E’ sempre immobile e sembra stia accelerando verso una deriva. E devo dire al di là della questione politica. Naturalmente non mi riconosco in questo governo, però non penso nemmeno che il prossimo sarà migliore, perché avendo ormai, purtroppo, un po’ di anni ho vissuto la fase del 92, di Mani Pulite, in cui tutto sembrava potesse rinascere con la Seconda Repubblica. E ci siamo ritrovati qua. La mia paura è ci siano come degli scalini, al prossimo scalino dove andremo a finire? Perché ormai sono saltate proprio le regole basilari. Almeno i democristiani non si permettevano di fare certe bassezze, o perlomeno le facevano di nascosto, c’era ancora un senso della decenza, oggi è saltato anche quello. Vige la legge del più furbo, e probabilmente le nuove generazioni non si sorprendono nemmeno, perché sono già nate in questa condizione. Un po’ come i vecchi della mia generazione che ora non ci sono più, un tempo c’erano i partigiani, oggi i partigiani sono un po’ come per un giovane di oggi a Torino, andare a vedere il museo del Risorgimento! E’ una roba che appartiene alla storia, come vedere le Termopili. E questo distacco, secondo me, purtroppo, ha generato il mondo che viviamo.
I vostri album sono sempre impermeati di atmosfere molto intime, parlate spesso d’amore e invece in quest’album vi siete spinti molto sul sociale, proprio perché immagino che abbiate sentito la necessità di raccontare quello che vi circonda.
Ci sono due livelli: uno è quello che ti dicevo prima e cioè il fatto di essere comunque diventati un po’ più maturi, anche se maturi non lo si diventa neanche a 90 anni! Ci siamo resi conto che ci eravamo un po’ avviluppati su noi stessi, anche a livello artistico, a parlare solo di situazioni esistenziali, quando poi nella vita di tutti i giorni, in realtà, ognuno di noi si è impegnato nel sociale. Ad esempio a me la politica appassiona, non questa, ma mi appassiona, e allora pensi “perché non provare a mettere queste cose anche nelle canzoni?”. Lo abbiamo fatto programmaticamente ma eravamo un po’ impauriti, perché c’era il rischio di fare dei proclami, che sono una cosa che detesto, sono fatti per essere disattesi. Non volevamo ridurci ad affrontare il sociale con degli slogan. Credo che in questo ci siamo riusciti, anche se forse non abbiamo osato tantissimo.
Come mai una band della scena alternativa italiana come voi, che ha la fortuna di aver firmato un contratto con la EMI, decide di ritornare a un’etichetta indipendente?
Questo ritorna sulla questione del trasloco. Ci siamo ritrovati in un posto come la EMI, che è il posto più grande dove possono trovarsi delle persone che suonano. Poi scopri che non è vero. Ti trovi in questi uffici con i poster dei Beatles e dei Pink Floyd alle pareti e pensi “Non posso credere di essere arrivato qui da quando suonavo la chitarra al liceo” e poi scopri le dinamiche che ci sono dietro, e capisci che lì dentro non ci stai. Non è un puntare il dito e dire “E’ colpa della EMI”, perché non é questo, è anche un po' colpa nostra. La vita di un gruppo è così difficile, noi siamo sei persone con idee diverse. A me attraggono molto le persone come Dente o Manuel Agnelli che sono riuscite in così poco tempo ad arrivare alla gente. Prendi ad esempio Dente, che mi piace tantissimo, e ti chiedi cosa sia non tanto la sua proposta artistica, ma quale sia la sua forza interiore, quella vera, che devi proprio scorticare la pelle e andare sull’inconscio a vedere. Molto probabilmente nell’inconscio di tutti noi, se ci facessimo una seduta psicanalitica (che non abbiamo mai fatto, anche perché non abbiamo i soldi per farla), si scoprirebbe che in realtà non abbiamo proprio tutta questa voglia di diventare famosi. Però è una domanda che dobbiamo porci, cioè, qual è la finalità per cui suoni? Per fare delle serate come quella di questa sera? Per diventare famoso? Cioé per diventare i Negramaro? Noi non potremmo mai diventare i Negramaro! Non lo diventeremo mai. Se mi arrivasse l’assegno SIAE di Sangiorgi sarei pure contento...ma diventare famosi è un desiderio futile, a meno che tu non lo voglia veramente, e volerlo veramente non è facile, è come voler veramente vincere alla lotteria. Non sai mai fino in fondo cosa comporta.
Però mai come oggi, la si cerca questa strada, pensa a tutti i talent show che ci sono in giro...
Ecco, però poi ti rendi conto della pochezza di cui ci hanno imbastito i cervelli, perché essere famosi è veramente una condanna se ci pensi, camminare per strada e non potere star tranquilli. Ognuno di noi, quando si trova davanti allo specchio del bagno, ha una serie di tic, di stronzate che sa solo lui di se stesso. Quando diventi famoso queste cose invece di sparire, credo che si amplifichino e non è facile gestirle. Noi forse siamo dei mostri di Firenze mascherati e abbiamo paura di diventare famosi, altrimenti faremmo un genocidio!
So che tu e tua moglie (Elena, violoncellista della band) avete bisogno di lavorare per mantenervi. Non si vive di sola musica?
Ho fatto un sacco di cose e continuo a farle, in realtà ora sono indebitato fino al cervello e con Cris condivido uno studio di registrazione. Prima ho lavorato nelle comunità psichiatriche per circa sei anni, ho fatto praticamente di tutto. Certo sono stato furbo perché ho sposato Elena, che fa parte della band, così tra me e lei abbiamo 1/3 dell’introito!(ride). Sembriamo coglioni, ma questo è marketing!
Visto che lo hai citato prima, ti chiedo come è nata la collaborazione con Dente?
Dente l’abbiamo conosciuto a Salerno quando abbiamo suonato all’Iroko. Lui era ancora questa creatura che viaggiava con la chitarra, saliva sui treni, apriva i concerti e nessuno se lo cagava mai fino in fondo. Però era molto affascinante come personaggio e in realtà quando ci parlavi era una persona buonissima e che aveva un suo perché che non aveva ancora tirato fuori del tutto musicalmente. Poi ha fatto, secondo me, un disco bellissimo che è “Non c’è due senza te”, e finalmente è venuto fuori per quello che è. Ha preso un’impennata micidiale e da lì ci siamo rivisti. E’ venuto a dormire a casa nostra a Torino. Mia figlia che non ha ancora 4 anni sta lì, ascolta i suoi pezzi, canta le sue canzoncine, e poi si trova Dente a casa. Per lei è normale che chi sente per radio, prima o poi passa a casa, ma non è sempre così.
Come mai hai scritto un pezzo su Primo Levi?
Sinceramente non lo so. Avevo ricominciato a leggere per l’ennesima volta “Se questo è un uomo” ma devo dire che non mi ha mai convinto del tutto. Trovo che dietro la questione ebraica ci sia un pochettino anche di marketing del dolore. Detto questo, domani sono rovinato e mi arrestano (ride). Esiste un libro bellissimo di Dave Eggers che si chiama Zeitoun (sembra quasi il titolo di una nostra canzone) che, invece di parlare di un ebreo, parla della storia vera di un musulmano che si è trovato durante l’uragano Katrina ed è stato preso, tramite il Patriot Act, e messo nelle carceri americane. Li’ ha passato pressappoco quello che Primo Levi ha passato nei campi di concentramento. Non sono un negazionista, ma il mondo descritto da Levi e tanto marketingizzato da un certo movimento sionista filo-israeliano non fa che girarsi su se stesso. “Oggi il campo si ciba di noi”, quando dico quella roba volevo cercare di dire che oggi siamo un po’ tutti Primo Levi, con le dovute differenze. Certo oggi nessuno finisce in una camera a gas, però viviamo in un mondo in cui la libertà è abbastanza controllata e se superi certi limiti, in realtà non sei poi così libero. Gli esempi sono qua: la storia dell’immondizia qui in Campania, quella della Tav in Val Di Susa, ma anche a livello mondiale. Quindi il fatto che tutti riflettano sempre sul primo livello della lettura di Levi e mai sul secondo, in cui sei coinvolto tu stesso. Era questo che volevo dire nella canzone, anche se non si capirà mai.
Ultima domanda: avete rifatto la Buona Novella di De Andrè proprio qualche settimana fa, è un progetto che pensate di riproporre?
Guarda proprio in questi giorni, dopo Varallo, ci hanno chiesto la possibilità di fare altre repliche e devo dire che, inconsciamente, ci speravamo ed è successo. E’ stranissimo perché De André è un po’ come la questione sionista, è una di quelle cose che vengono prese e marketingizzate, c’è stato proposto e abbiamo accettato. Per noi è stata come un’iniezione di ricchezza, perché quel disco ce l’avevo a casa ma in realtà non l’avevo mai ascoltato con la giusta attenzione che merita, ed ho scoperto che è un disco bellissimo che però richiede una certa attenzione alla quale non siamo più abituati e il fatto di riproporlo è una cosa bella. speriamo di rifarlo!
Magari a Napoli...
Magari! Sarebbe molto bello, settimana prossima abbiamo un incontro, si parlava di quattro date in posti diversi...speriamo bene!
Intervista di Salvatore Sannino.
Si ringrazia Freak Out e Art Beat.
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