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Abroad: rock dal mondo
Obrigado Porto: il report dell'Optimus Primavera Sound
Live report del Primavera Sound di Porto, dal 7 al 10 giugno al Parque da Ciudade.
di Luigi Ferraro
Le luci al neon in stile luna park anni 50 sovrastano i palchi con la scritta "Optimus Primavera Sound Festival". La pioggia che spazza via l'esibizione dei Death Cab For Cutie e bagna le migliaia di fan in fila per un biglietto all'Auditorium. Jeff Tweedy che fa jogging sul lungoceano e la Super Bock, birra leggera e frizzante, a solo 2 euro. Istantanee di un evento che è riuscito alla "prima botta", come diciamo a Napoli.
65 mila persone in 3 giorni con oltre 60 band: il "fratello minore" del Primavera Sound di Barcellona non ha nemmeno un anno di vita ma è già pronto per tornare nel 2013 (recente annuncio dell'organizzazione) . E si che quando fu annunciato il Portogallo come location per un secondo Primavera, tornai alla mente a cinque anni fa, quando festeggiai la mia laurea a Lisbona e Porto, ed in particolare tra le salite della città del Douro ho lasciato un pezzo di cuore.
Così abbiamo saltato Barcellona e siamo sbarcati direttamente a Porto, capitale "morale" lusitana, dove l'Unesco ha riconosciuto come Patrimonio dell'Unità quell'affascinante ma decadente dedalo di viuzze che dall'alto del centro città sprofondano e vanno a cadere sul lungofiume della Ribeira. Lì dove puoi ingozzarti di francesinha (un mastondontico sandwich con diversi tipi di carne ed immerso in un intingolo formaggioso) e di bolinhas de bacalao, di tripa ao modo do Porto e vino imbattibile. Una città che sembra caderti addosso ma sorprenderti con la sua umiltà, sonnecchiare durante il giorno e risvegliarsi la notte.
La cancellazione di Bjork qualche settimana prima non ha nemmeno scalfito l'operosità dei "primaveristi", che in massa si sono riversati nel verdissimo Parque de la ciudade, zona Matosinho, a ridosso del sempre agitato Oceano Atlantico.
Quattro i palchi: Optimus, Primavera, ATP e Club Stage (l'unico coperto). Arriviamo direttamente il secondo giorno (le compagnie low cost purtroppo non decollano i giorni e le ore che vogliamo, purtroppo) saltando gente del calibro di Suede, The Rapture, Mercury Rev e Yann Tiersen. Dopo aver avuto il magico pass stampa ci troviamo davanti ad una marea di persone proveniente da tutto il mondo (50% di portoghesi, il resto diviso tra inglesi, tanti, spagnoli, italiani, olandesi, tedeschi, francesi, scandinavi, nonostante solo sette giorni prima si sia svolto il Primavera di Barcellona.
Mentre suonano i soprendenti Other Lives (Club Stage pieno), Rufus Wainwright e la sua band intrattengono le migliaia di persone davanti al Palco Optimus. Meno barocco che su disco, il musicista americano si fa accompagnare da un ottima compagine corista, spaziando dal folk al pop, dall'opera al soul.
Intanto noto che sul palco adiacente (Primavera) vengono già piazzati i cannoni spara coriandoli ed amplificatori bianchi. Un riccioluto con un collo di pelliccia abnorme dirigie i roadies. Quell'uomo è Wayne Coyne, frontman visionario dei Flaming Lips.
Alle 21.30 la band di "Embryonic" sale sul palco. Non solo la band sul palco "sale", ma l'atmosfera psichedelica/space che riescono a creare con il loro show fatto di mani laser, coriandoli a tonnellate, alieni e lunghissime suite strumentali, che a volte ricordano i Pink Floyd a.d. 1975. Il concerto è quasi una replica di quello di Barcellona dello scorso anno, ma non manca di divertirci e stupirci come bambini: "Yeah song", "Do You Realize", "Worm Mountain", "Yoshimi Battles The Pink Robot", cantati a memoria da tutti.
Frastornati da Coyne & co, notiamo i Black Lips che suonano divertiti sul palco Club, ma torniamo di nuovo alla collinetta a metterci in buona posizione per i Wilco, headliner molto attesi del festival. E Tweedy & co. non tradiscono le aspettative, nonostante l'audio basso degli inizi. Da "Whole Love" e tornando indietro a "A Ghost Is Born", la band americana trasmette quell'energia e sicurezza sul palco propria solo di chi fa musica con professionalità ma allo stesso tempo amore. Folk rock senza sbavature (Via Chicago), fottutamente romantici (Born Alone), elettrici (A shot in the arm). Musicisti di classe.
Riusciamo a malapena a vedere i "luminosi" Beach House, ma il tanto sonno arretrato delle partenze ipermattutine da low-cost (se non si è capito abbiamo viaggiato così) ci costringe a tornare in albergo, non prima di aver mangiato allo stand argentino un gustoso panino con pancetta portoghese (?).
Il secondo giorno (sabato 9 giugno) mi sveglio ed il sole non c'è più. Piove. Ma di quella pioggia sottilissima ed innocua che ti fa comunque scendere di casa e visitare la città. Intanto sono iniziati gli europei e i portoghesi sono tutti incollati davanti alle tv per la nazionale di Cristiano Ronaldo. Arriviamo all'Oceano verso le 18.30 (figo dirlo così), e scattate due foto sulla spiaggia entriamo al Parque: la prima mezz'ora la trascorriamo in fila per accaparrarci i biglietti per i concerti a la Casa de la Musica il giorno successivo. Piove ancora e i k-way regalati dal main sponsor vanno a ruba.
Giro per la sala stampa e leggo che il concerto dei Death Cab For Cutie è sospeso: troppa pioggia (non mi sono visto nemmeno gli Spiritualized) e vento hanno aperto il telone che copre l'Optimus Stage, quindi nisba.
D'improvviso smette di piovere e 10mila persone almeno sono già sotto il Primavera Stage per il ritorno degli Afgan Whigs. Greg Dulli è appena tornato dall'Italia dove ha suonato con i Soundgarden ma non è stanco. Come sempre granitici ma allo stesso tempo dolci, gli Afgan dimostrano che il loro ritorno non è stato superfluo. Avevamo bisogno di loro e loro del rock: Greg Dulli è anche dimagrito e quando parte "Going to Town" torno indietro agli anni 90. E' tornata una grande band.
Il tempo di fare una visita al banchetto del Vinho portoghese e ritorno alla collinetta strapiena, in attesa dei Kings Of Convenience, il duo solo chitarre che riempie i festival, gli eredi diretti di Simon & Garfunkel. Erlend Oye (che ho rivisto in aeroporto, poi vi racconto) ed Eirik Glambek Boe si mostrano stupiti (o mentono sapendo di mentire) di essere stati invitati ad un festiva rock: ma qui siamo al Primavera Sound e non allo Sziget (che nel frattempo è diventato un gran calderone dove mettere di tutto) o al Gods Of Metal, tanto è vero che c'è gente venuta solo per loro, per ascoltare piccole perle acustiche come "Me In You", "Mrs. Cold". Mentre il duo si fa raggiungere da una vera e propria band (ci sono anche due italiani: Ugo Santangelo e Davide Bertolini) mi allontano e raggiungo l'Atp Stage, attirato anche dal casino che viene da lì (di cui i norvegesi si sono un po' lamentati). Chi poteva essere sul palco che urlava con un violino in mano, capelli lunghi (solo dietro, vista la calvizie) e magrissimo? Warren Ellis e i suoi Dirty Three, poeti maledetti di un rock che violenta qualsiasi melodia. Inamovibili.
E' da un po' che non piove, ma c'è tanto fango (non quanto i festival inglesi fortunatamente) lungo la stradina che ci porta al Club Stage, dove i "sonici" Wavves attirano l'attenzione del pubblico più giovane, che si spreca in pogo e stage diving d'altri tempi.
Mentre i bassi sparati dei St.Etienne in lontananza fanno da colonna sonora alla nostra cena (di nuovo dagli argentini: questa volta panino con salsiccia portoghese ricoperta di molho, guazzetto verde portoghese molto saporito), ci facciamo poi un giro alle shirt ufficiali (ma perchè quelle del festival non sono mai belle?) e verso le due ci avviciniamo all'Optimus Stage, dove in pratica sono già tutti lì per assistere ad una band che con un solo ed unico album ha già in pratica "sfondato": The XX.
Ecco, la band inglese non mi ha convinto su disco: troppo leggeri, forse un po' vaporosi, e legati a quel synth pop anni 80 stile Eurythmics. Ed invece il concerto che non ti aspetti: minimali, caldi, giochi di luce suggestivi. La voce di Romy Madley Croft è vellutata e ricorda la migliore Tracey Thorn (anche nel look). La gigantesca lettera X alle loro spalle fa da sfondo ai duetti con Oliver Sim e gli applausi sono tutti per il trio. Improvvisamente la collinetta sparisce e ci troviamo tutti in un club, fumoso e scuro, ad ascoltare in silenzio canzoni come "Islands", "Basic Space" e "Heart Skipped a Beat". Applausi.
Usciamo dal Parque felici, mentre in lontananza i bassi di John Talabot smuovono i tanti corpi rimasti lì per ballare. Domenica 10 giugno ritorna il sole e ci inforchiamo i Rayban: visite alle Cave e assaggi di Porto in quantità elevata. In serata il festival non è finito: ci sono ancora i concerti allla Casa da Musica, struttura futurista che ospita i migliori concerti della città per 12 mesi. Un po' come l'Auditorium di Roma, con un pizzico di design fantascientifico in più. Qui riusciamo a goderci un gran bel concerto: Jeff Mangum direttamente dai Neutral Milk Hotel, che fa sedere direttamente sul palchetto una decina di fan. Lui e la sua chitarra, la voce e i brividi di un live ruvido, folk ed emotivamente intenso, in particolare con i brani di "The Aeroplane Over The Sea", lontano album del 1998.
Ed è bello incontrare alle 6 del mattino al check-in dell'aeroporto un assonnato Erlend Oye, chitarra al seguito, in procinto di partire per nuove date del tour dei Kings Of Convenience.
Si chiude così la prima edizione dell'Optimus Primavera Sound, con un bilancio iper positivo: più piccolo (per ovvi motivi) del fratello maggiore di Barcellona ma non meno importante e riuscito. Saremo lì anche il 2013 ed è da sottolineare che in Italia, ed al Sud in particolare, manchino eventi del genere: internazionali ma che ti fanno sentire come se fossi sotto il palco del localino della tua città.
lf
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