Il sogno ad occhi aperti della Wakeupandream. 10 anni di concerti indipendenti

Califone, Bill Callahan, Oneida, Carla Bozulich, El Guapo, Velma. Se siete stati ad uno di questi concerti a Napoli negli ultimi 10 anni state certi che dietro c'era lo zampino di Marco Stangherlin e la sua Wakeupandream. Associazione culturale prima, agenzia di booking e promotion (prima in Campania, adesso in tutta Europa) poi, essa ha portato sotto il Vesuvio il vero rock alternativo americano, non quello pseudo-hipster e modaiolo.

Wakeupandream nasce nel 2002, da quell'anno organizza concerti a napoli e dall'anno successivo in tutta Italia. Cosa ti ha spinto a creare un'agenzia di booking e live?

Wakeupandream nasce dall'idea di tre amici (io, Giovanni Marasca e Andrea Testi) che si ritrovavano troppo spesso a vedere le loro band preferite fuori Napoli. Nella migliore delle ipotesi al Pegaso di Torre del Greco (dove Freak Out portava avanti un lavoro importante e meritorio). Ci sembrava assurdo che in una città popolata e culturalmente densa come la nostra non ci fosse una programmazione di musica indipendente - uso l'aggettivo per comodità, tanto ci capiamo! - più o meno regolare e diffusa sul territorio.

E' nato tutto da questa constatazione. Che era al contempo un'esigenza.

Nel tempo Wakeupandream è diventata un'associazione culturale e poi una ditta ed ha esteso il proprio raggio d'azione all'Italia e all'Europa, includendo di recente anche attività di carattere più propriamente promozionale. Ma sono rimasto solo io a portare avanti l'opera e questo è oggi il mio lavoro. Con tutti i vantaggi, i privilegi, ma anche i problemi e i limiti, del fare della propria passione un mestiere.

Quali generi preferisce la Wakeupandream e cosa non organizzerebbe mai

Eviterei di esprimermi in termini di "genere". La storia dei concerti wakeupandream racconta di una vasta pluralità di stili e linguaggi avvicinati. Direi che piuttosto quello che conta è un'attitudine. Non mi interessano il tecnicismo spinto, il virtuosismo, la sperimentazione che non si pone il problema di comunicare ed entrare in contatto con l'altro. E, in modo uguale e contrario, non mi dicono molto le proposte musicali appiattite, spesso in maniera furbesca e con un eccesso di retorica, sul concetto di tradizione.

Ho un approccio piuttosto emotivo alla materia. La musica deve sorprenderti, smuoverti qualcosa dentro. E di solito se smuove qualcosa dentro di te, vuol dire che l'ha smossa anche all'interno di chi la sta facendo. Ecco, urgenza espressiva e autenticità: sono questi i paletti, i criteri essenziali con cui wakeupandream fa le sue scelte (abbastanza istintive).

E' proprio questo che spero accada in un concerto: che quel movimento che la musica produce in te (che sia un brivido, un'emozione, un mal di pancia o un sorriso ebete stampato in faccia) lo vivano anche gli altri. E scatti la condivisione, l'empatia. In questo senso la musica è politica, genera relazioni, raccorda il particolare e l'universale.

Per non ricollegarmi alla tua domanda - scusa, forse ho divagato un pò - e alla luce dei criteri estetici e "sociali" di cui ti ho detto, credo che non organizzerei mai un concerto di fusion (non me ne vogliano i cultori del "genere", ma proprio non ce la faccio a sentire quei suoni), di hard-rock così come una serata all'insegna del tunz tunz più commerciale e becero, con tutto il suo portato atomizzante e spoliticizzante.

Quanto costa, in termini di "fatica mentale" organizzare un concerto a Napoli, in particolare di musica indipendente, vista la cronica assenza di spazi. Assenza che voi avete però ovviato con location fuori dal comune, vedi il Riot Studio.

Hai detto bene, fatica mentale. La scarsità di spazi dedicati - direi dedicati all'arte in genere, non solo alla musica - ti costringe a ripartire quasi sempre da zero, a dover intavolare discussioni e noiosissime trattative con persone di volta in volta nuove, a spiegare loro chi sei/cosa fai, come e perché lo fai, a inventarsi soluzioni sempre diverse. Se vogliamo, l'assenza di fissità e il continuo cambiamento di spazi e situazioni sono anche stimolanti e in fondo intercettano quel desiderio incessante di novità che è tipico dei nostri tempi. Però, in un'ottica di lungo periodo, la mancanza stabilità e progettualità mina i processi di costruzione e fidelizzazione di un pubblico, la creazione di relazioni di senso e di un tessuto umano e culturale di riferimento; e fa sì che non si abitui la gente a determinati standard (logistici, infrastrutturali ed organizzativi) che, credo, tutelino chi organizza, chi ascolta e chi suona.

Premesso che organizzare una rassegna con una certa distanza temporale tra un evento e l'altro, che è quello che faccio io a Napoli, è cosa diversa e ben più facile del gestire quotidianamente uno spazio, mi sento di dire che a un problema fisico di spazi - una questione che ha a che fare oggettivamente con la morfologia e la geologia della città - si affianchi un problema di prospettiva, ovvero un problema di carenza di prospettiva, di visione. Troppo spesso chi gestisce uno spazio non sa bene cosa deve farne, rimane in mezzo al guado e per voler fare tutto finisce per non fare niente. Troppi posti senz'anima, troppi contenitori e pochi contesti. Manca una cultura imprenditoriale - alcuni amici più radicali inorridiranno nel leggere questa espressione! - legata alla musica dal vivo, manca il coraggio, mancano probabilmente le competenze e la passione necessarie per tale impresa. O, se/quando ci sono, mancano i soldi!

Visto che citi il Riot: Ecco una felice eccezione, l'esempio di un progetto condiviso e lungimirante, di una sintonia tra persone e idee. Si è fatto un investimento su un certo tipo di discorso e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. La forza di una rassegna come "A Casa" non sono solo i concerti ma l'idea che la sottende: la modalità di vivere il momento musicale, le ore che lo precedono e quelle che seguono, gli orari, l'atmosfera. Non si è fatto un passo avanti o un passo indietro rispetto alle modalità organizzative dominanti: sI è fatto un passo di lato.

Il Riot Studio

Solo quest'anno avete portato Ed Laurie, Pan American, Oneida, Akron Family (grande serata quella al First Floor di Pomigliano) , Carla Bozulich. Ma qual è il concerto al quale sei più legato e quale band ti piacerebbe portare a Napoli o in Campania

Il vincolo più forte che nel mio caso la passione esercita sul lavoro è che non ho mai organizzato né potrei organizzare un concerto (tanto meno un tour) di un artista o una band a cui non fossi interessato. Non sarei in grado di organizzarlo o di convincere qualcuno a farlo, sarei poco credibile nel promuoverlo, non trasmetterei alcun entusiasmo. Atenzione, non si tratta di idealismo o di romanticismo ma di voler fare le cose per bene, con cura, e di voler perseguire un obiettivo in modo più naturale e fluido. Per questo motivo sono legato a tutti i concerti che ho fatto, davvero. Ma è ovvio che ce ne siano alcuni che mi hanno segnato più di altri.

Carla Bozulich al Museo Nazionale, per esempio, tanto per dirti di un caso tangibile di movimento interiore condiviso (quello di cui parlavo prima). Poi. il primo live di wakeupandream, dieci anni fa: i Califone al Bourbon Street, con Tim Rutili e Ben Massarella praticamente in mezzo alla gente tanta era la roba che avevano e che non entrava sul palco. Gli Akron/Family con Langhorne Slim in apertura, a Galleria Toledo, poi Bill Callahan sempre a Galleria Toledo - quando scopri che quelle voce che senti su disco è proprio la sua, tale e quale dal vivo, niente trucchi e niente inganni- o Lotus Plaza (progetto solista di Lockett Pundt dei Deerhunter) al Cellar Theory, tre quarti d'ora di estatico ambient-pop chitarristico, un'iniezione di benessere allo stato puro.

E come dimenticare El Guapo al Marabù (con quello sguardo folle del batterista, che ancora ho negli occhi), Howe Gelb, David Thomas, Tom Verlaine, i Kill the Vultures, i Parenthetical Girls, i Velma al Teatro Instabile, quei genietti di Rottin e Musica da Cucina, Sandro Perri/Polmo Polpo, o il suono d'autore dei Pan American, di recente. Troppi, troppi, sicuramente me ne sto dimenticando di fondamentali, non me ne vogliano gli assenti!

Avrei voluto provare a portare i Sonic Youth, magari sfruttando l'amicizia con Steve Shelley - ho organizzato il tour di alcuni suoi progetti paralleli, i Two Dollar Guitar e di recente i Disappears - ma direi che ormai è troppo tardi. Adoro Loren Mazzacane Connors ma per problemi di salute non suona quasi mai al di fuori degli States. Credo che prima o poi riuscirò a fare Bonnie Prince Billy, ci sono andato vicino tante volte.

Qualche giorno fa abbiamo pubblicato un'intervista ai ragazzi del Cellar, uno dei locali napoletani che riesce a mantenere una programmazione coerente, indipendente e a proporre cose nuove. Ma perchè molti napoletani non sono curiosi?  Perchè ad un concerto come quello di Carla Bozulich alla Galleria 19 il locale non era pieno?

L'esperienza del Cellar - e anche quella del Mamamu, con le dovute differenze di programmazione - conferma quanto dicevo sopra: il problema dello spazio è relativo, conta più la visione; nonostante evidenti limiti strutturali, questi sono posti con un'anima e per questo stanno in piedi e vanno avanti (e con questo non intendo minimizzare le difficoltà che incontrano e di cui con loro si parla tante volte).

La curiosità dei napoletani: non c'è nessuna questione antropologica per cui la gente qui sarebbe poco curiosa e attenta. Organizzando tour su tutto il territorio nazionale posso dire che spesso e volentieri le cose altrove vanno anche peggio e per molti dei "miei" gruppi la data partenopea si è rivelata la più riuscita.

Il discorso è complesso e ci sono tante verità. La curiosità è una disposizione del soggetto e quindi ha a che fare con i percorsi d'ascolto (più in generale: culturali) individuali e con un insieme di fattori che potremmo raccogliere alla voce "offerta". Gli uni condizionano gli altri (nulla di più sbagliato che pensare alla "domanda" come ad un'entità data e immutabile). Viviamo sicuramente un'epoca di transizione per quel che attiene alla musica: la gente è sopraffatta da una molteplicità infinita di cose da ascoltare, si ritaglia nicchie minuscole, ascolta musica in mp3 o passa il tempo su facebook mettendo "mi piace" o "parteciperò" a concerti ai quali poi non andrà. D'altro canto, fare un disco è diventato relativamente facile e poco costoso e tutti vogliono andare in tour a suonarlo. La cosa in sé sarebbe anche buona ma ha favorito uno scadimento della qualità delle cose in circolazione e l'accentuazione di meccanismi che poco hanno a che fare con l'oggetto in questione e molto hanno a che fare con l'autopromozione e il narcisismo.

Insomma, non sono certo i tempi più propizi per un approccio consapevole, approfondito e curioso alla musica o per una sua fruizione sociale e comunitaria. Ed è in questo contesto che si trova a muoversi un operatore culturale, un organizzatore, un promoter, un gestore di locale. Niente di più facile che dopo averci provato o magari senza averlo neppure fatto, a un certo punto finisca per cedere, molli la presa e finisca per assecondare l'andazzo delle cose e scegliere la via più facile. A quel punto è la fine, si scivola su un piano inclinato fatto di drink card, discoteche post-concerto (ma dire post è un eufemismo... a volte partono quasi in contemporanea all'ultima nota suonata), happy hour, biglietti d'ingresso sempre più bassi (a quando pagare il pubblico per venire ai live?) e così via. Tutti escamotages che ribadiscono un trend, si pongono esattamente sullo stesso piano di ciò che in qualche modo andrebbe contrastato e modificato. Ammesso che lo si voglia fare: non c'è nulla di male nel seguire un filone e cercare di trarne un profitto. Di nuovo: è un problema di progetto.

Quest'anno il Neapolis si svolgerà in provincia di Salerno, perchè gli organizzatori sono stati in qualche modo "obbligati" a farlo lì, altrimenti niente festival. Molti locali chiudono, di strutture per grandi concerti non ne parliamo nemmeno. Secondo te, le istituzioni fanno abbastanza per la musica live nella nostra città? Che differenze vedi con le altre città della Campania? E dell'Italia, visto che organizzi concerti in tutto lo stivale?

Credo che uscire da Napoli e associarsi al Giffoni FIlm Festival possa essere una mossa azzeccata per il Neapolis: linfa nuova, energie fresche, un pubblico diverso, forme di commistione.

Sul rapporto musica-istituzioni ho una visione abbastanza liberale: credo che le istituzioni abbiano fatto anche troppo e farebbero bene a fare meno e a lasciar fare di più. La logica dei finanziamenti a pioggia (che poi è complementare alla politica dei grandi eventi) ha generato dei mostri, prodotto sprechi e inutili baracconi, favorito clientele e penalizzato il merito. Dopodiché, finiti i soldi tutti a lamentarsi e a piangere. Ci sono però tante realtà organizzative che le cose le hanno fatte e continuano a farle in silenzio e senza proclami, imparando a produrre ogni "piccolo grande" evento dal nulla. Ora che a livello amministrativo si è imboccata una strada più sana e una linea di maggiore trasparenza, dettata anche da una situazione finanziaria allo stremo, è a quelle piccole realtà che andrebbe dato spazio. In che modo? Un tetto massimo ai contributi erogati - ammesso che ci debbano essere - per scoraggiare il magna magna di quanti organizzano cose solo per intascare soldi e senza minimamente curarsi dei contenuti.

Ma soprattutto, mettendo le realtà organizzative in condizione di operare liberamente e secondo la propria estetica, di organizzare rassegne e festival dotandole di importanti agevolazioni di carattere logistico e infrastutturale (concessione gratuita di aree/spazi/parchi e servizi come la guardiania e la pulizia, allestimento di palco e impianto, possibilità di impiantare delle piccole bouvette) e dando supporto promozionale e visibilità. Ci sono dei segnali positivi in tal senso, ma ancora si è preda di visioni antiche e un pò campanilistiche, che sono anche il frutto, evidentemente, di amicizie e rapporti personali.

Un altro punto di svolta dovrebbe essere lo snellimento delle procedure burocratiche. Se la linea dev'essere niente soldi ma piuttosto l'uso di certi spazi e alcune infrastrutture, che si velocizzino e semplifichino i passaggi amministrativi, che non si rimbalzi un'associazione/un'agenzia/un'organizzazione da un ufficio a un altro... non si giochi allo scaricabarile, non si dica sempre che bisogna parlare con qualcun altro che a sua volta dirà che si è sbagliata persona, non si faccia aspettare mesi (e fare decine di telefonate) finendo per sfiancare ed esasperare la controparte.

Un buon progetto richiede mesi di lavoro preliminare e poi settimane di promozione massiccia. Quando non è così allora non è un buon progetto, è un progetto arraffazzonato. Per il mese di maggio la programmazione musicale (in generale culturale) estiva di una città deve essere chiusa, e così i viaggi, i contratti, gli accordi con gli artisti prescelti. Se non si fa così, si finirà per chiamare il rincalzo del rincalzo, il gruppetto sfigato, la band del quartiere. O anche il nome grosso però amico (o amico dell'amico). E che ha già suonato trentaquattro volte negli ultimi 3 anni.

Quindi: "mettere in condizioni di", garantire spazi e servizi, premiare il merito, snellire l'iter burocratico.

Carla Bozulich

E poi ci sarebbe un discorso enorme su quello che potrebbero fare le istituzioni in merito al problema degli spazi. Da anni si parla di una casa della musica, di un centro polufunzionale per le arti, di immobili del patrimonio comunale da dare in comodato d'uso. Discorsi sacrosanti, per carità. Ma non oso immaginare la bagarre che si scatenerà il giorno in cui questi discorsi diventeranno realtà e si dovranno assegnare gli spazi o determinare i criteri della loro gestione...

Infine, ci scrivi due righe sui prossimi appuntamenti?

Al di là dei tour in giro per lo stivale - a livello locale wakeupandream è concentrata sulla rassegna al Riot, di cui parlavo prima: "A Casa". Siccome ho già risposto in modo torrenziale, mi limito a rimandare a www.wakeupandream.net/napoli-campania. Là troverete informazioni e link relativi ai prossimi gruppi e la descrizione dello spirito di "A Casa". Comunque, in pillole, i prossimi concerti sono delle chicche: dopo il miscuglio di folk/psichedelia ed elettronica di Alexandert Tucker, ci saranno le scorribande lisergiche e le armonie vocali dei Charalambides, il blues destrutturato di Ava Mendoza e il cantautorato storto del canadese Chenaux. Ce n'è per tutti i gusti!

Ultimissima: c' è qualche aficionado che vedi personalmente a tutti i tuoi concerti?

Hai voglia! Almeno dieci pazzi che seguono tutto quello che propongo e si fidano ciecamente. E mi istigano a proseguire e non mollare. Vuoi i nomi?

Grazie a Marco Stangherlin per la disponibilità.

foto di Pietro Previti

Lu. Fer.

Commenti  

 
#1 Mauro Boccuni 2012-05-23 17:43
ma siete proprio certi che la Galleria 19 sia il luogo più idoneo per un concerto di un'artista colta come Carla Bozulich? Io credo che i suoi progetti artistici meritino una sala da concerto vera e propria non un tunnel adatto al sound design :)
Citazione
 

Concerti in Campania

< Maggio 2012 >
Lu Ma Me Gi Ve Sa Do
  1 2 3 4 5 6
7 8 9 10 11 12 13
14 15 16 17 18 19 20
21 22 23 24 25 26 27
28 29 30 31      

Vinci biglietti

Contest

Join us on

Campania Rock FacebookCampania Rock twitterCampania Rock flickrCampania Rock MySpace

© 2010 Campania Rock, testata giornalistica registrata al Tribunale di Nola (reg. numero 154 del 28/11/2008) / credits